Il nome Pieve a Elici si riferisce alla foresta di lecci (in latino ilices) che tra l’XI e il XV secolo ricopriva la collina; alcuni esemplari, piantati circa 50 anni fa, si trovano davanti alla facciata del tempio.
Origini
L'origine di questa Pieve, che fu uno dei primi centri di evangelizzazione della Lucchesia, è avvolta nelle tenebre dell'alto Medioevo; stando alla tradizione sarebbe una delle Pievi fondate tra il V e il VI secolo da San Frediano, vescovo di Lucca, durante la sua vasta opera di riordinamento della chiesa Lucchese.
Col passare degli anni l'importanza della Pieve andò sempre più aumentando. La chiesa del X, XI e XII secolo non era ancora quel gioiello architettonico che oggi noi ammiriamo.
Allora la Pieve era costituita da quattro nude pareti, senza navate, con l'absidiola volta a levante, e la tettoia a capriate coperta di lavagne. Di questa primitiva costruzione, distrutta una prima volta dalle incursioni militari più che dall'incuria degli uomini, e riedificata per volontà della contessa Matilde di Canossa, nient'altro rimane all'infuori di un piccolo tratto della parete che chiudeva la chiesa dal lato di tramontana.
L'ampliamento
L'ampliamento avvenne più tardi, probabilmente nella seconda metà del XIII secolo, quando la Pieve crebbe di importanza e l'oratorio non riusciva a soddisfare le esigenze della aumentata popolazione.
La rinnovata Pieve assumeva un aspetto decoroso e austero, quale si confaceva al tempio di Dio, e tale si mantenne fino ai primi del XVIII secolo.
I restauri compiuti all'inizio del nostro secolo liberarono la chiesa dalle deturpazioni che il cattivo gusto e l'ignoranza le avevano causato, sicché oggi noi possiamo ammirare l'antica opera restituita in tutta la sua primitiva bellezza e austerità.
Il visitatore che ne varchi la soglia, non può sottrarsi all'arcano fascino che si sprigiona dalle navate di questo Tempio.
Per quanto nessuna precisa notizia si possegga dal costruttore che ideò la rinnovata Pieve, la mancanza di fregi ornamentali negli architravi, nei capitelli, nelle mensole, è una caratteristica propria della scuola lombarda.
Di questa schietta semplicità stilistica, di questa voluta parsimonia è prova pure il Fonte Battesimale a immersione, ricostruito con il vecchio materiale sul suo originale tracciato: nella vasca rettangolare, venivano battezzati non solo gli abitanti del posto e delle zone limitrofe, ma anche quelli della sottostante pianura, compresa Viareggio, quando questa città era ancora un piccolo, squallido borgo di umili e poveri pescatori.
Un magnifico Trittico in marmo spicca in fondo alla navata mediana, al disopra dell'altare maggiore.
Le figure del Trittico rappresentano una Madonna con Bambino al centro, San Pantaleone nell’edicola di destra e San Giovanni Battista in quella di sinistra. Gli altari laterali sono sormontati da due magnifici affreschi: una Madonna con Bambino ed una Crocifissione, che risalgono rispettivamente al XIII e al XVII secolo.
Il primo, opera di chiara fattura romanica, è uno dei pochissimi affreschi, tutt'ora esistenti, della fine del XIII secolo. L'altro, un autentico capolavoro, attribuito dalla maggior parte degli studiosi a Guido Reni.
Importante è anche il campanile con merli Ghibellini. Alto 29 metri, venne eretto nel secolo IX come torre di guardia e di avvistamento (all’epoca il mare giungeva quasi alle falde della collina).
Nel XII secolo fu trasformato in torre campanaria.
Notizie tratte da:
"Massarosa e dintorni" di A. Lugnani e E. Tomei Marrano
"Massarosa dalle origini ai giorni nostri" di P. Dinelli
"La chiesa romanica di Pieve a Elici" di A. Lugnani